31 dicembre 2006

Saddam e i missionari cattolici uccisi nel 2006


Non si placano i commenti sull'esecuzione di Saddam Hussein. Oggi su Avvenire, a pagina 2, è uscito un bell’editoriale di Marina Corradi. “Su quanti patiboli iracheni c’e stato solo silenzio” è il titolo, e ricorda a tutti, davanti a tanta “proliferazione di sdegno mediatico-umanitario”, che in queste ore si è levata contro l’esecuzione del Raìs, che forse gli stessi “umanitaristi che ora si stracciano le vesti per l’esecuzione di Saddam” non sempre hanno ritenuto degni della loro pietà le numerose e sconosciute vittime provocate dai crimini del dittatore. Concordiamo in pieno. 
A sinistra, solo Marco Ferrando, fuoriuscito dal PRC, è fuori dal coro: “Condanniamo il processo farsa ma non ci uniamo al coro ipocrita di lamenti sulla morte del boia di centinaia di migliaia di curdi e iracheni mandati al massacro” (Avvenire, pagina 9). Apprezzeremmo la sua sincerità se non fosse indotta dalla sua posizione “controcorrente” che ha assunto verso il gruppo dirigente del partito.
Infine,  a proposito di genocidi dimenticati, e per concludere l'argomento Saddam, in questo ultimo dell’anno bisognerebbe ricordarsi di quello che è in atto nel Darfur. Su Avvenire (Agorà, 46/2006) è pubblicato un pezzo a firma di nientepopòdimenoché Desmond Tutu, vescovo anglicano sudafricano famoso per le sue battaglie contro l’apharteid che ricorda a tutti quanti questa immane tragedia dimenticata dagli uomini.

Sempre su Avvenire di oggi, a pagina 3, compare un elenco dei missionari, dei religiosi e dei sacerdoti uccisi nel 2006. Ed anche in questo caso le voci che si levano ipocritamente contro l’esecuzione di Saddam sono secondo noi colpevoli di aver taciuto, di non aver pubblicamente condannato, di non essersi indignati. 
A cominciare dai “cattolici adulti” di prodiana memoria. Ecco l’elenco. Impressionante.
Andrea Santoro, sacerdote, ucciso il 5 febbraio in Turchia
Elie Koma, sacerdote, ucciso il 4 febbraio in Burundi
José Alfonso Moreira, sacerdote, ucciso il 9 febbraio in Angola
Michael Gajere, sacerdote, ucciso il 18 febbraio in Nigeria
M. Yermine Yamlean, religiosa, uccisa il 10 marzo in Indonesia
Eusebio Ferrao, sacerdote, ucciso il 17 marzo in India
Bruno Baldacci, sacerdote, ucciso il 30 marzo in Brasile
Luis Montenegro, sacerdote, ucciso il 12 aprile in Argentina
Karen Klimczak, religiosa, uccisa il 14 aprile negli Stati Uniti
Galgalo Boru, sacerdote, ucciso intorno alla metà di aprile in Kenya
Jorge Piñango Mascareño, sacerdote, ucciso il 24 aprile in Venezuela 
José Carlo Cearense, sacerdote, ucciso l’8 maggio in Brasile
Jude Kimeli Kibor, sacerdote, ucciso l’11 maggio in Kenya
Luis Herrera Moreno, frate, ucciso il 28 giugno in Colombia
John Mutiso Kivaya, sacerdote, ucciso il 31 luglio in Kenya
Chidi Okorie, sacerdote, ucciso il 4 agosto in Nigeria
Augustine Taiwa, consacrato, ucciso il 28 agosto in Papua-Nuova Guinea
Leonella Sgorbati, religiosa, uccisa il 17 settembre in Somalia
Ricardo Antonio Romero, sacerdote, ucciso il 25 settembre a El Salvador
Pascal Koné Naougnon, sacerdote, ucciso il 31 ottobre in Costa d’Avorio
Waldyr dos Santos, sacerdote, ucciso il 6 novembre in Mozambico
Idalina Neto Gomes, laica, uccisa il 6 novembre in Mozambico
Jacob Fernandez, laico, ucciso il 26 novembre in India
Johnny Morales, laico, ucciso l’8 dicembre in Guatemala



Infine per il 2007 che viene:


«Ciò che è stato è quello che saràe ciò che s’è fatto è quello che si farà:niente di nuovo avviene sotto il sole»
                             
(Qohelet 1,9)

30 dicembre 2006

E' morto Saddam Hussein


E' morto Saddam Hussein. La TV e il web riportano infiniti commenti in merito.
I più ipocriti sono quelli europei, naturalmente.
Perché se era ovvio che dagli Stati Uniti non c'era da aspettarsi altro che "soddisfazione", e dall'Iran addirittura commenti entusiastici, che salutano l'impiccagione di Saddam come "una vittoria degli iracheni", dall'Europa non potevano che venire le solite prese di distanza benpensanti e ipocrite.


(doverosa precisazione: non condividiamo la pena di morte, ma la condanniamo invece assolutamente e con fermezza, senza se e senza ma)

"Condanna", "orrore", "deplorazione". Eccoli i commenti delle personalità europee. Quelle stesse che da troppo tempo lasciano nelle mani altrui (il riferimento allo “scomodo” alleato americano è assolutamente voluto) i lavori più sporchi, e che pensano che per risolvere i problemi del mondo basta emanare qualche direttiva a cui tutti gli stati membri debbono uniformarsi, organizzare qualche viaggetto alla "troika" di turno, dire qualche bella parola di alto profilo e di “grande responsabilità” corrucciando la fronte, sventolare qualche bandiera arcobaleno…
Quelle stesse personalità europee che di fronte a tanti altri efferati delitti troppo spesso si sono comportate come dei moderni Pilato (il genocidio del Ruanda, la guerra in Bosnia, il genocidio dei curdi iracheni, il Kossovo, o le morti efferate dei nostri missionari o dei cristiani che nel mondo vengono "giustiziati" per la loro fede). In questi casi non si fanno commenti e non si manifesta il proprio "orrore", la propria "condanna", la propria "deplorazione".
Eccola l’Europa moderna e protesa al futuro…
Senza entusiamo mi tocca proprio dire un evviva alla sincerità di Calderoli… Almeno dice quello che pensa.

Una preghiera per la salvezza della povera anima di Saddam, nella certezza che la misericordia di Dio avrà potuto agire imperscrutabilmente anche per lei.

28 dicembre 2006

Don Camillo, Peppone e l'Italia che non c'è più


Sessant’anni. Tanti ne compiono oggi Don Camillo e Peppone. 
Personaggi mitici emersi improvvisamente dalla fervida penna di Giovanni Guareschi ed entrati a far parte a pieno titolo della storia della nostra Italia. 
Don Camillo e Peppone: opposti l’un l’altro, eppure per molti aspetti così simili e così uniti. Sono il ritratto di un mondo che non c’è più e che abbiamo voluto archiviare troppo in fretta. E così ci siamo persi i valori buoni, quelli comuni, condivisi e condivisibili da entrambi gli opposti di allora, fossero essi Chiesa e Partito, Democristiani e Comunisti, Ricchi e Poveri… Come la famiglia, il lavoro, la dignità umana, il diritto a una casa… 
C’era tutto questo in Don Camillo e Peppone o, se preferiamo, in Don Camillo Tarocci, parroco di Brescello, e Giuseppe Bottazzi, sindaco. 
C’era soprattutto una chiara distribuzione dei ruoli in entrambi: ognuno di loro incarnava un’anima vera e palpabile dell’Italia di allora, appena risorta dalle ceneri della disastrosa guerra. 
Pane al pane, vino al vino. Quando i democristiani facevano i democristiani e i comunisti facevano i comunisti, i ragazzini nascevano e crescevano con queste certezze e gli adulti rendevano l’anima a Dio dopo averlo sperimentato per una vita…
C’era una volta un paesino della bassa padana…”. 
Oggi c’è solo l’Italia, con tutta la confusione che si porta dietro…

27 dicembre 2006

Welby e i funerali religiosi


Sono ancora vive le polemiche suscitate dalla decisione del Vicariato di Roma di non concedere i funerali religiosi a Piergiorgio Welby. Come al solito, più a sinistra che a destra, si sono levate numerose voci di disapprovazione verso un atteggiamento, quello della Chiesa, stigmatizzato come “incomprensibile e privo di umana pietà” (è il commento del DS Gavino Angius, vice-presidente del Senato). E così, tra citazioni di Ghandi e allusioni a Pinochet, tutto il centro-sinistra ha sparato sulla decisione del Vicariato di Roma, e segnatamente del Card. Ruini che, in quanto vicario del Papa per la diocesi di Roma, ne è la carica più alta (qui il comunicato stampa del Vicariato). Marco dell’Olmo, Ansa, riporta una serie di dichiarazioni raccolte da esponenti politici di destra e di sinistra: ecco il link.
Certo che, viene da pensare, è singolare il modo con cui si pretenderebbe che la Chiesa faccia ciò che si vorrebbe, davanti a ogni questione morale. Stavolta il problema è l’eutanasia, ma ce ne saranno altri, possiamo starne certi. E così prima si vorrebbe che la Chiesa conceda il diritto di rifiutare le cure e all’occorrenza di farsi ammazzare, e dopo si vorrebbe anche che conceda i funerali religiosi. Ben sapendo che né l’una né l’altra possibilità sono contemplate nella dottrina cattolica. Anzi cristiana. Attacchi strumentali quindi. Ti chiedo di concedermi una cosa che so bene che non potrai concedermi e poi ti attacco. Chiaro come l’acqua. Ma poi, Welby non era ateo?  E perché un ateo, che immagino razionale, dovrebbe chiedere i funerali religiosi se è ateo? Allora non era ateo… Anselmo d’Aosta afferma che l’ateo per dire che Dio non esiste, ne conosce la nozione e quindi ne riconosce l’esistenza…
Va bè - dice Alfonso Pecoraro Scanio - ora basta con le polemiche. Ora è necessario che il Parlamento approvi una legge per colmare il vuoto normativo sul diritto al rifiuto delle cure. E se possibile, aggiungiamo malignamente noi, qualche comma che imponga alla Chiesa di celebrare coattivamente, e quindi per legge, i funerali religiosi a chi compie scelte come quella di Welby.

26 dicembre 2006

Sempre all'opposizione


Su Pier Giorgio Frassati si è scritto che: "Era sempre all’opposizione, non capiva i mezzi termini, le misure blande, diplomatiche, pur necessarie a volte per dirigere una barca con un equipaggio così numeroso e difficile come quello di un circolo universitario. Era massimalista, avrebbe voluto applicate alla lettera il Vangelo e talvolta era un po’ rude e angoloso. Non ammetteva deviazioni, gli accomodamenti erano contrari al suo carattere e non era il tipo del malleabile. Mistero delle parole: oggi persone di tal genere sono definite "reazionarie ed integriste". Pier Giorgio viene invece fatto passare per "progressista". Ciò non basta per nascondere un fatto evidente: che egli non è stato proprio un esempio di "laicità " nel senso in cui oggi viene diffuso e propagandato questo valore." (qui il testo completo Tratto dal libro: Ritratti di Santi, di Antonio Sicari ed. Jaca Book).

Mi sento molto vicino a questa definizione della personalità di Pier Giorgio Frassati. Soprattutto quando si dice "era sempre all'opposizione".

09 ottobre 2006

Contro Halloween


Da Notre Dame (Parigi) ad Abbadia Cerreto (Lodi), il cristianesimo ha lasciato magnifiche tracce. E’ la nostra storia, complessa e drammatica. Americani e giapponesi ce la invidiamo. Noi dobbiamo rispondere: non e’ in vendita”. Così scriveva qualche tempo fa Beppe Severgnini dalle colonne di Sette (l’inserto settimanale del Corriere della Sera), parlando alla sua inconfondibile maniera, acuta e ironica al tempo stesso, dell’Europa e della sua cultura (100 buoni motivi per essere europei, il titolo dell’articolo).
E noi infatti non la vendiamo. Decidiamo direttamente di buttarla via come se fosse la cosa più logora e abusata del mondo. Non è una colpa da attribuire agli americani infatti, se dal dopoguerra in poi, per esempio, noi italiani ci siamo resi protagonisti di una tanto straordinaria quanto senza precedenti fra tutti i paesi europei, auto-americanizzazione (ci si passi il termine). Una auto-americanizzazione tanto più grave, quanto più se valutata in primo luogo rispetto all’assoluto impegno - al deliberato consenso si potrebbe dire -, che vi abbiamo profuso, fatto di devota applicazione e diligente pratica. Ma anche e soprattutto perché la nostrana scopiazzatura dei modi di vivere d’oltre oceano, si è pregiata di prendere da quella cultura solo quei lati che potremmo definire i più negativi. In una parola, i difetti. Tra i pregi buoni ci sarebbe stato da prendere, infatti, il forte senso d’appartenenza alla propria identità e l’attaccamento alle istituzioni che gli americani dimostrano comunemente (il senso della “patria”, diremmo noi, che nel caso americano si è potuto vedere fortissimo subito dopo l’11 settembre, quando la gente si è stretta attorno ai simboli nazionali, dalla bandiera, al Presidente degli States, quale che fosse, democratico o repubblicano). Invece niente, troppo complicato per noi. E se tutto questo qui in Italia può essere assimilato alla pura fantascienza (c’è bisogno di fare esempi pratici?), degli americani abbiamo importato così soltanto le esagerazioni iperboliche di cui sono antonomasia: dal modo assurdo di mangiare, con il fast-food che soppianta la nostra eccezionale cucina tipica, a quello di parlare, farcito ormai di tanti americanismi da svilire la ricchezza unica del nostro idioma. E che dire di Halloween? E’ certo che anche questa festa va considerata nel quadro della nostra auto-americanizzazione. Ma se fino alla prima metà degli anni ‘90 i ragazzini italiani non si sognavano ancora di passare di porta in porta per pronunciare il fatidico “dolcetto o scherzetto?”, l’ondata di letteratura fantastica della fine degli anni ‘90, seguita ben presto dalla televisione e dal cinema, ha fatto si che Halloween prendesse definitivamente piede nella nostra fertile società. Tanto che oggi, non solo i ragazzini hanno imparato a passare di porta in porta chiedendo: “dolcetto o scherzetto?”, ma di Halloween non se ne può più fare a meno. Anzi. A giudicare dal grande successo che riscuote soprattutto fra i giovani, sembra ormai pienamente... italianizzata. Eppure Halloween è da combattere. Non è un’occasione come un’altra per far festa o, come si sente spesso dire, una specie di carnevale autunnale. Perché non ha niente dell’innocenza carnascialesca. Basti pensare che nei giorni precedenti il 31 ottobre, vengono venduti articoli che dietro l’apparenza della mascherata diffondono e creano mentalità esoterica, educano all’occulto, inculcano perdute passioni per la stregoneria e per le pratiche magiche, aprono le porte al satanismo. Basterebbe dire che la stessa frase “dolcetto o scherzetto” (trick-or-treat), che letteralmente significa “trucco o divertimento,  stratagemma o piacere”, originariamente significava invece “maledizione o sacrificio”.
Contro Halloween quindi. E non per bigottismo, nazionalismo o quant’altro, ma per proteggere i giovani da quelli che sono pericoli ben più subdoli, poiché le conseguenze di tutto questo respirar magia - dagli Harry Potter alle Witch - si manifesteranno in futuro con depressioni, violenze, crisi nervose. E mentre nella laicissima Francia alcuni sindaci hanno vietato espressamente i festeggiamenti di Halloween, in Italia i negozi hanno fatto affari d’oro vendendo maschere spaventose, scheletrini e scheletroni, denti da vampiro, mani mozzate e zucche di plastica. Vuote, come le teste degli italiani.

02 agosto 2006

Salita al Monte Vettore dalla Forca di Presta

29 luglio, ore 3,00. La sveglia suona e interrompe un sonno brevissimo. Un paio d'ore appena. Ci vestiamo e scendiamo rapidamente al bar dell'Albergo Vettore. Il nostro amico Piergiovanni ci ha preparato i cestini con i panini e le marmellate.
Ci presta la macchina. La porto io. Daniele invece guida la mia. Facciamo il primo viaggio da Balzo di Montegallo verso Forca di Presta dove lasciamo Tamara e Ilaria con alcuni ragazzi. Torniamo subito a Balzo per prelevare il secondo gruppo. Sulla strada che sale verso la Forca di Presta incontriamo un furetto o comunque un mustelide che attraversa velocemente l'asfalto. Quando arriviamo a Forca di Presta (1.550 mslm) con il secondo gruppo sono le 5,10. Attacchiamo il sentiero verso la cima del Vettore alle 5,15 precise. Il freddo è pungente e c'è moltissimo vento.

Partendo da Forca di Presta
 


La valle del Tronto
 Intorno alle 5,45 ci fermiamo per vedere l'alba. Il freddo si è fatto più intenso ed è necessario incappucciarsi. Per lo meno io che soffro subito di mal di orecchie a causa del forte vento gelido. L'alba è uno spettacolo superbo e straordinario che ci lascia letteralmente incantati riempiendoci il cuore.

Il disco rosso del sole fa capolino dall'acqua del Mar Adriatico
 




Godendosi l'alba...
 

Dopo la meraviglia dei colori dell'alba, riprendiamo il sentiero per la cima superando alla nostra sinistra una collinetta con tantissimi asfodeli gialli. Intanto la luce del sole ha mutato dal rosso al giallo intenso, con i raggi che si riflettono sulla superficie del Mare Adriatico. Ci diceva ieri sera Piergiovanni che dal Vettore nelle giornate particolarmente chiare è possibile addirittura vedere le coste della Dalmazia. Tutto sta prendendo forma e i raggi del sole praticamente orizzontali disegnano suggestive ombre tra colline e monti. Da dietro i Monti della Laga fa capolino il Gran Sasso, con il Corno Grande che emerge inaspettato.

Bruma sul Pian Grande
 




Asfodeli gialli nella collina "del vento", salendo verso il Vettoretto
I raggi del sole si riflettono sull'acqua del Mar Adriatico
Il Corno Grande fa capolino dietro i Monti della Laga
Dopo esserci lasciati alle spalle il Monte Vettoretto, continuiamo a salire verso la Sella delle Ciaule e il Rifugio Zilioli (2.250 mslm), i cui lineamenti cominciano a distinguersi più compiutamente. Poco prima del Rifugio il sentiero si fa improvvisamente impervio e ripido. Due o trecento metri di pendenza elevatissima che si risolvono con una serie di tornantini prima di arrivare, abbastanza affaticati, alla piccola costruzione del C.A.I. di Perugia. Arrivo al Zilioli alle 7,14. Qui incontriamo un simpatico ragazzo di Perugia dai capelli rasta, che ci racconta di aver passato la notte sui tavolacci del rifugio (si compone di una stanza chiusa con un lucchetto e di un'altra aperta a disposizione degli escursionisti) in compagnia di una buona bottiglia di vino, dopo essere stato ad una sagra ad Amandola. Ascoltiamo divertiti il suo show sul chirocefalo di Marchesoni, il crostaceo che abita le acque del lago di Pilato, e dei suoi parenti gamberetti giapponesi e poi, alle 8,00, con un gruppo più piccolo partiamo per la cima del Vettore.





 











Il sentierino verso la cima si inerpica tra prati battuti dal vento. In una venticinquina di minuti arriviamo alla croce dell'anticima del Vettore. Alle 8,33 baciamo la croce della cima del Vettore a 2.476 mslm. La croce del Vettore ha il corpo curiosamente avvitato su se stesso, a causa dei fortissimi venti cui è sottoposta, che la sollecitano ad una torsione straordinaria. Si racconta che ai primi del Novecento una poderosa croce di svariati metri di altezza fu divelta dal vento e ritrovata a valle dal versante di Montegallo. Affacciandosi dal balcone verso la valle glaciale che risale dall'abitato di Foce è possibile vedere, come un occhio azzurro, il lago di Pilato. Dalla parte opposta, invece, si spazia verso il piceno, il lago di Gerosa, gli abitati di Amandola, Comunanza, Montemonaco, Montegallo. Col tele riesco a fotografare Balzo e l'Albergo Vettore. Dopo aver firmato il libro di vetta, fatte alcune foto, alle 9,20 cominciamo la discesa che ci poterà di nuovo a Forca di Presta alle 11,25. Per scendere mi si sono infiammati i tendini del ginocchio sinistro e sono costretto ad una andatura piuttosto lenta. Mi consolo con il panorama assolutamente appagante, che riempie d'Infinito lo spirito e la mente.



































La Sella delle Ciaule
 

Lunga è la strada...