31 marzo 2006

Per le elezioni politiche del 2006




Mentre da mesi assistiamo alla solita bagarre fatta di insulti ed accuse reciproche, tra qualche giorno saremo chiamati a votare per eleggere il nuovo Parlamento. Accuse, insulti, inviti alla sfida… Un modo, questo, di fare politica che servirà certo a fare più “audience”, ma che non aiuta a risolvere i problemi della gente, quelli veri, che restano irrisolti. E così, se intanto si continua ancora anacronisticamente a puntare il dito sui comunisti o sui fascisti di turno, questo modo assurdo di fare politica, che la banalizza e la riduce ad una sorta di tifoseria, allontana sempre di più la gente dal voto (già il voto… bisognerebbe pensare un attimo a quanti italiani si sono battuti e sono morti per ottenere questo irrinunciabile diritto democratico…).
Certamente non è nostra intenzione dare indicazioni. Tuttavia, siamo convinti che chi andrà a votare il 9 aprile debba essere in grado di discernere (per quanto gliene venga data la possibilità), su quali valori fondamentali si gioca la partita elettorale. Ed è per questo che riteniamo necessario, come Redazione di un giornale dichiaratamente cattolico, proporre alcune chiavi di lettura per orientarsi nella importante scelta elettorale. Ma quali?
Ricordava Giovanni Paolo II, che ‘‘la sfida della vita precede quella "del pane", "della pace", "della libertà religiosa…", investendo pertanto “…tutti i livelli: religioso, culturale, educativo, sociale, politico, legislativo’’ (Giovanni Paolo II, discorso agli ambasciatori presso la Santa Sede, 10 gennaio 2005). Infatti il lavoro, le pensioni, l’integrazione, le infrastrutture… – tutti temi che trovano ragionevolmente posto in ogni programma politico di buon senso – sono argomenti che non possono e non devono essere trattati senza un’attenzione particolare ai grandi valori dell’uomo. Riteniamo infatti che ogni valutazione, debba essere fatta considerando la dignità della persona umana al centro di tutto, e ciò per difenderla dagli attacchi di una cultura laicista (assolutamente trasversale ai due schieramenti), che non essendo riuscita nell’intento di eliminare Dio dalla vita dell’uomo – così come auspicava Nietzsche – si è data l’obiettivo di ignorarlo.
Le chiavi del discernimento, dunque, passano obbligatoriamente per la difesa della vita in tutte le sue manifestazioni, per il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, per il diritto ad un lavoro stabile e duraturo. Ma attenzione particolare dev’essere anche prestata alla salvaguardia della libertà religiosa (che ultimamente alcuni vorrebbero cancellare dal novero dei diritti umani), e al rispetto delle nostre radici giudeo-cristiane, spesso svendute in nome di un relativismo che mette confusamente tutte le culture e le religioni sullo stesso piano.
Questi sono solo alcuni dei temi che i cattolici hanno nel cuore e di cui chiedono che la Politica – e non quella praticata a tutti i livelli, bensì quella che Pio XI definiva come una delle più alte espressioni di amore verso il prossimo – si faccia carico seriamente.
A ognuno, poi, il compito di individuare quegli uomini di buona volontà che, all’interno del proprio schieramento, dimostrino più attenzione e sensibilità a questi argomenti. E pregare perché Dio li illumini. 

(articolo apparso su "Identità", I, marzo 2006)

26 marzo 2006

Cattolici: né di destra, né di sinistra


Stiamo scherzando? Spero di si.

Certo è che ci si rimane male, da cattolici, leggere di appelli al Papa (leggere in fondo), controappelli, gare di firme, accuse di xenofobia. Tutto questo è sano dialogo nella Chiesa o dimostrazione delle nostre povertà?
Dove ci portano, poi, queste diatribe tra posizioni diverse, questi tentativi di far prevalere una visione dell'essere cristiani su un'altra?

E si perché proprio non mi piace categorizzare, né sentirlo fare ad altri, la Chiesa ed i cristiani con le stesse modalità che vengono utilizzate per la politica. A me piacerebbe che ci siano soltanto dei "cattolici" e basta e non "neo-teo-con" e "neo-teo-prog", né cattolici "conservatori" e "progressisti", né - tanto peggio - cattolici di "destra" e di "sinistra".
Cattolici e basta (non è sufficiente l'etimologia del termine "cattolico" per questo? katholikos = "generale" o "universale").

Ma veniamo ai punti.
L'appello di Pera (in fondo). Non mi pare proprio che porti in sé dei contenuti xenofobi. Non so se è stato ispirato dalla Lega, ma non penso s'identifichi con "la teoria aberrante dei neo-teo-con", o che sia "una eresia e la negazione dei fondamenti cristiani ed evangelici." Certo, penso che esso non sia totalmente condivisibile (se non altro per quel tono di perbenismo e bel pensiero che lo pervade o per l'accenno al conservatorismo liberale salvatore del mondo che chiosa il tutto), tuttavia nella sostanza, più che nella forma, potrebbe essere sottoscritto anche da un cattolico. Ci vogliamo dimenticare, infatti, della forza con cui Giovanni Paolo II ha
chiesto, purtroppo invano, di inserire nella costituzione europea un richiamo alle nostre comuni radici cristiane? O della difesa dei diritti del nascituro (il referendum sulla legge 40 è appena passato.). Beh, spero di no, a meno che non si voglia essere intellettualmente disonesti e dimenticarsene, soltanto per pura e cinica opportunità politica. Quello che dice Pera è quindi vero e fa male constatare che altri dicano il contrario.
Anzi. Fa ancora più male constatare che sia Pera (un ateo devoto) a doverlo dire e non noi cattolici che in nome di un buonismo antievangelico stiamo svendendo la nostra identità.
L'appello a papa Ratzinger (in fondo). Non mi sembra di conoscere un "papa Ratzinger" (fa rabbia sentirlo citato alla maniera di Repubblica, che in 27 anni di pontificato di Giovanni Paolo II, ha sempre evitato di nominarlo con il suo nome di successore di Pietro, quasi avesse paura di essere accusata di clericalismo), ma conosco invece un papa Benedetto XVI che, tacciato alla sua elezione di "pericoloso conservatorismo" (magari da quelli stessi che
ora hanno sottoscritto l'appello), si sta invece rivelando come un pastore dalle eccezionali (anche se prudenti), aperture. Non è il caso che io ripeta ciò che tutti sanno. Basta soltanto pensare che la sua prima enciclica l'ha voluta dedicare all'Amore di Dio per l'uomo. Mi pare poi che i toni usati, questi si, siano un poco accesi, denotando ben poca lucidità nell'analizzare
le cose e la realtà e scivolando spesso (e volentieri) nell'offesa gratuita.
Quasi un razzismo alla rovescia, direi. Soprattutto come quando non si riconosce la legittimità, pur avallata dall'imparzialità politica della Chiesa che lascia i cattolici di scegliere liberamente in scienza e coscienza, di votare per il centro-destra anziché per il centro-sinistra. E al di là di affibbiare o negare di volta in volta patenti di "cristianità adulta" (infelice offensiva battuta di Prodi ai tempi del referendum sulla Legge 40), non è molto bello "tirare per la mozzetta" il Santo Padre dicendogli, in buona sostanza, "noi si che siamo cristiani, quelli veri, gli altri no". E poiché in politica mi professo assolutamente relativista (lavorando a stretto contatto con i politici tutti i giorni), tanto che se non fosse per un sacro rispetto per chi ha combattuto ed è morto per ottenere il diritto di voto e che mi impedisce di farlo, mi verrebbe proprio la voglia di non andare a votare, attendo al varco chi si candida a governare il paese per i prossimi cinque anni. Mi piacerà vedere come si comporterà di fronte a chi gli chiederà conto sulle richieste di trasformazione del concetto di famiglia, o sull'introduzione di nuove tecniche abortive, o sulla rivisitazione dei diritti del nascituro da poco salvaguardati con l'approvazione della legge 40/2004, o sulla continuazione di aberranti politiche di precarietà lavorativa che fondano le
radici ben prima dell'insediamento dell'attuale governo (ed approvate con il beneplacido dei sindacati confederali). Mi piacerà vedere se e quanto sarà davvero diverso dagli attuali governanti e se non si lascerà tentare dall'approvare leggi e riforme a colpi di maggioranza, o a sostituire tutti gli yes-men attuali con propri fidi (storie già viste, non sarà diverso nemmeno
stavolta). Starei proprio attento a gridare allo scandalo puntando oggi il dito su una maggioranza che ha "votato leggi che la morale (laica e cattolica) definiscono semplicemente come immorali". Chi ha più prudenza l'adoperi, diceva un proverbio. Vedremo, allora. Spero di essere vivo tra cinque anni per vedere se ho ragione. E poi? Un appello al Papa perché non
riceva Berlusconi in Vaticano? Come se il Papa non fosse in grado di valutare da sé l'opportunità o meno di compiere un simile gesto? Mi pare che molto spesso Gesù si intratteneva a tavola con i pubblicani, i peccatori e gli agenti delle tasse. e dall'altra parte a criticarlo e a scandalizzarsi c'erano i farisei. Forse la mia visione è troppo semplicistica? Scandalizza qualcuno? Non mi pare che Benedetto XVI sia una persona che "manda a dire"
le cose. Se Berlusconi fosse andato da lui avrebbe ricevuto, come ai primi di gennaio il sindaco di Roma, il presidente della Regione Lazio e il presidente della Provincia di Roma, la sua razione di "bacchettate" sulle dita, proprio come i suoi colleghi di opposta fede politica (andate a rileggervi il "Discorso di Sua Santità Benedetto XVI agli Amministratori
della Regione Lazio, della Provincia e della Città di Roma". Rileggete soprattutto quella parte che va contro le promesse riforme dell'istituto familiare richieste a gran voce nel Consiglio Regionale del Lazio: "Dall'altra parte, è un grave errore oscurare il valore e le funzioni della
famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale
"). E gli argomenti delle "bacchettate" a Berlusconi? Forse proprio quelli che erano elencati nell'appello e che ora non si ritorceranno più contro l'odiato premier. Un "autorete", avrebbe
detto Niccolò Carosio, altro che vittoria (con grandi beffarde risate degli strateghi della comunicazione politica di Berlusconi).

Detto questo, continuare così non ci porterà a niente, se non a dividerci di più e a creare sempre più cattolici che pontificheranno a pane e testimoni di sinistra (Dossetti, La Pira, Milani, Mazzolari, etc.) e altrettanti a pane e testimoni di destra (Padre Pio, Escrivà de Balaguer, ma spero di non offendere nessuno con queste categorizzazioni non mie). A me sembra proprio che quando il Papa nella Deus caritas est afferma che "La Chiesa non può e
non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile
" (28/a), intende sì la Chiesa come istituzione, ma anche la Chiesa come Popolo di Dio. Ebbene, quello siamo noi se le mie scarse nozioni di ecclesiologia non mi tradiscono. E allora? Non portiamo la lotta politica dentro la Chiesa. Lasciamola fuori. Distinguiamo, qui si, il
sacro dal profano, tanto sia il magistero della Chiesa che la sua dottrina sociale sono chiarissimi su tutte le materie che ai cristiani stanno più a cuore perché hanno al centro la dignità della persona umana con tutti i diritti che ne conseguono (vita, famiglia, lavoro, scuola. date uno sguardo al recente Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa). Basta seguire il
Magistero, quindi, e confrontarlo con i programmi politici dei vari partiti (e non mi dite che farlo significa essere "di destra", o "conservatori", o "neo-teo-con". altrimenti sarei felice di essere così etichettato pur non volendo esserlo). Purtroppo, questo si, ai cattolici di oggi gli tocca pure
di scegliere il "meno peggio", o il più vicino ai temi che sente di più. Ma al di là della politica o delle visioni legittimamente diverse tra i due schieramenti, almeno nella Chiesa non dividiamoci, non offendiamoci, non separiamoci. "Se costruisci un muro" - diceva il Barone rampante di calviniana memoria - "pensa a ciò che lasci fuori". Noi rischiamo di lasciarci fuori da soli e di assolutizzare ciò che non va assolutizzato, ovvero le nostre personali visioni di Chiesa. Io credo in una sola Chiesa, non in una di destra e in un'altra di sinistra, o molto peggio, in una sola di esse. Se continuiamo così, non so proprio come faremo ad essere
"Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo".



02 marzo 2006

Contro il Gloria e il Credo a cori alterni



Proprio non riesce a piacermi quel recitare Gloria e Credo a cori alterni. Soprattutto perché mi costringe a seguire le parti sul foglietto per non rischiare di sovrapporre la mia voce a quella del celebrante.
E’ da un po’ di tempo, infatti, che i foglietti utilizzati per seguire le messe (La Domenica, editi dalla San Paolo di Alba), presentano il Gloria e la Professione di fede, il Credo, in una forma tipografica che invita alla loro recita a cori alterni. In pratica il testo è diviso in parti in tondo, che recita il celebrante, alternate a parti in grassetto, di competenza dell’assemblea. Il motivo? Alcuni celebranti pensano che Gloria e Credo a volte vengano recitati quasi meccanicamente, per cui, con i cori alterni, si susciterebbe una recita più partecipata e consapevole. E questa è anche l'opinione del mio parroco, a Capranica, un paese della provincia di Viterbo.
La singolare novità liturgica, che dal tempo della sua comparsa (nell’anno del Giubileo del 2000) ha subito più di qualche aggiustamento con varie modifiche alle parti di competenza (poiché si è verificato, addirittura, che l’Amen finale venisse recitato soltanto dal celebrante, anziché da tutta l’Assemblea), è oggetto di discussione tra coloro che ne sostengono l’opportunità e quelli - io tra questi - che invece la ritengono inutile, se non addirittura dannosa.
Ma vale la pena ricordare ciò che prevede in proposito la costituzione apostolica Missale Romanum, che promulga i Principi e Norme per l’uso del Messale Romano. Se per quanto riguarda il Gloria, infatti, si dà la possibilità che esso venga “recitato da tutti, insieme o alternativamente”, ma solo se non lo si canta (cfr. n. 31), per il Simbolo di fede, il Credo, non c’è altra occorrenza se non quella di recitarlo “un cuor solo e un’anima sola”, in quanto esso “deve esser recitato dal sacerdote insieme con il popolo”, dandosi l’eventualità dei cori alterni, solo nel caso in cui venga cantato (cfr. n. 43). Inoltre, la Conferenza Episcopale Italiana, nelle Precisazioni a margine dell’adozione del nuovo Messale Romano, raccomanda che nel caso della recita del Credo nella forma detta “degli Apostoli”, esso “sia usato per un periodo piuttosto prolungato” al fine di ottenere nell’Assemblea “una più facile memorizzazione nella lettera e nel contenuto” (cfr. n. 2). Ed è proprio questo il punto: per recitare il Gloria e il Credo a cori alterni serve necessariamente il foglietto, al fine di seguire le parti di propria competenza e non invadere quelle del celebrante. Non vale più, dunque, conoscerli a memoria, se non si conoscono i confini, le divisioni tra le due parti del coro. E allora, varrebbe la pena di domandarsi, prima di accettare tanto facilmente l’assunto cori alterni = meno monotonia, ergo, più partecipazione, se tale modo di recitare Gloria e Credo possa causare, a lungo andare, la perdita irrimediabile di parti della Messa mandate tradizionalmente a memoria dall’Assemblea. Varrebbe la pena di verificare, poi, se è vero che così facendo si migliora la partecipazione dell’Assemblea e non si aumenta, invece, la confusione. E varrebbe la pena di domandarsi, infine, se non sia più importante invitare i fedeli a partecipare alla messa meno meccanicamente piuttosto che preoccuparsi se essi recitino più o meno meccanicamente, interamente e a memoria, Gloria e Credo. 
Questioni da liturgisti?