25 dicembre 2013

La notte santa


- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca
lentamente le sei.

- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scocca
lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca
lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca
lentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.

È nato!
Alleluja! Alleluja!


Guido Gozzano

16 novembre 2013

17 novembre - Capranica commemora l'eccidio degli avieri sardi






SOMMARIO
1. Il quadro storico
2. La costituzione del Battaglione Volontari Sardi
3. La strage dei giovani avieri Sardi rifugiati a Capranica
4. Le motivazioni della strage
5. Rinaldo Zuddas
6. Documenti
7. Note
8. Bibliografia

1. Il quadro storico
La tragica vicenda dei militari sardi catturati a Capranica dalle SS tedesche il 17 novembre 1943 e barbaramente fucilati presso Bassano Romano nel pomeriggio dello stesso giorno, si inquadra nel caos politico-istituzionale seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943. La dissoluzione dell'esercito italiano, che si era consumata nel breve volgere di tre giorni (9-11 settembre), aveva provocato il più assoluto caos nelle comunicazioni nella vana attesa dell'arrivo degli Alleati o di precise disposizioni del Governo, il quale rimase invece colpevolmente silenzioso. In seguito a una tale situazione di totale assenza di ordini superiori, la disciplina e la compattezza dei reparti venne meno, sfaldandosi rapidamente con la conseguenza che molti militari si tolsero la divisa e indossarono abiti borghesi [1].
Centinaia di militari sardi, provenienti soprattutto dalla disgregazione delle divisione Sassari e Granatieri di Sardegna, si diressero così verso Civitavecchia, nella speranza di imbarcarsi per la Sardegna. Ma l’impossibilità di trovare un posto nelle navi in partenza per l’isola, strettamente controllate dai tedeschi, nonché la pericolosità del viaggio, soggetto alle incursioni dell’aviazione alleata, indussero molti militari a trovare ospitalità tra la popolazione dei paesi della Tuscia.

2. La costituzione del Battaglione Volontari Sardi
Contemporaneamente, per iniziativa di Padre Luciano Usai, un missionario saveriano sardo, cappellano militare in Africa al seguito dei reparti italiani che combatterono a El-Alamein, vennero diramati per mezzo della radio e della stampa annunci per la ricostituzione di un reparto di militari sardi. Per questo scopo, il comando militare tedesco in Italia avrebbe fornito al religioso tutta l’assistenza possibile, nonché otto autocarri, generi alimentari di ogni tipo e un lasciapassare per recarsi al centro militare di Capranica, destinato come punto di raccolta per tutti i Sardi sbandati [2]. Qui ben presto si sarebbero concentrati – secondo fonti vicine alla R.S.I. – ben 20.000 militari sardi, cifra assolutamente non verificabile ma certamente non veritiera. Testimoni oculari capranichesi, riferiscono infatti di aver visto numerosi militari sardi nelle campagne di Capranica, soprattutto in località Marcone e Corgnano, e anche se nessuno di loro è stato in grado di distinguere tra militari alla macchia e militari in attesa di essere arruolati nel costituendo battaglione, le cifre riferite si aggirano appena intorno alla cinquantina [3]. Tuttavia, una relazione del Sindaco non datata e conservata presso l’Archivio del Comune di Capranica, parla di circa 200 militari concentrati nel territorio comunale, “forse perché, -  come si legge in questo documento - trovandosi Capranica sulla linea ferroviaria Orte-Civitavecchia, sperarono di poter, al momento opportuno, far ritorno alla loro isola” [documento completo]. Nel Centro di raccolta di Capranica, ai Sardi sbandati sarebbe stato  proposto di andare a lavorare in Germania o nelle fabbriche del Nord, oppure di arruolarsi nelle costituende forze armate della R.S.I.. In 400 (altre fonti parlano di 1.200, ma forse si tratta di un numero lontano dalla realtà), avrebbero optato per questa scelta, costituendo l'organico del Battaglione "Volontari di Sardegna - Giovanni Maria Angioy", del quale Padre Usai divenne cappellano militare. I sardi vennero così arruolati, vestiti, addestrati e armati con fucili "91", mitra "Beretta" e mitragliatrici "Breda" e condotti a Roma, in una caserma in via della Lungara, da dove – secondo le promesse del religioso saveriano – sarebbero stati successivamente trasferiti con compiti di ordine pubblico. Qui, invece, fu per loro evidente che il battaglione ricostituito da Padre Usai sotto il comando del colonnello Bartolomeo Fronteddu, avrebbe militato nella Repubblica Sociale Italiana come unità combattente a fianco dei tedeschi. La notizia che lo stesso Battaglione sarebbe stato destinato al fronte di Cassino, dove in quei mesi si concentrava la resistenza tedesca contro l’avanzata degli anglo-americani, provocò quindi la diserzione di numerosi militari che tornarono subito a Capranica - dove già da prima della guerra risiedevano alcune famiglie sarde - per trovare ospitalità nelle case in cambio del proprio lavoro nelle campagne.

3. La strage dei giovani avieri Sardi rifugiati a Capranica
La conseguente dura reazione del comando territoriale tedesco non si fece attendere. Nella mattinata del 17 novembre 1943, due automezzi delle SS di stanza a Bracciano entrarono in Capranica portando con loro, in manette, il giovane capranichese Salvatore Alessi, arrestato nel tardo pomeriggio del 14 novembre insieme a Virgilio Andreotti e Antemio Baldi. Nel rastrellamento del paese che ebbe luogo durante tutta la mattinata, casa per casa, vennero catturati 18 militari sardi che furono dapprima rinchiusi nella locale sede del Fascio Littorio, in Piazza San Francesco, e successivamente caricati sui camion con finta destinazione Bracciano. Sulla strada che collega Sutri a Bassano Romano, nei pressi di una valletta, furono improvvisamente fatti scendere e fucilati in compagnia dell’Alessi. All’eccidio scampò miracolosamente l’aviere Rinaldo Zuddas che dopo essere stato ferito a un braccio e a una coscia, cadde nel torrente sottostante, e si salvò fingendosi morto nell’acqua al momento del colpo di grazia. Zuddas trovò soccorso presso una famiglia di Sutri che lo trasportò all’ospedale di Ronciglione per essere curato, non senza il pericolo di essere nuovamente arrestato e passato per le armi dai tedeschi.
In seguito alla strage e alla fucilazione di Virgilio Andreotti e Antemio Baldi, avvenuta dopo barbare torture il giorno 21 nei pressi di Bracciano (riferisce Rino Alessi, fratello di Salvatore, che ai due giovani erano state strappate le unghie e all’Andreotti erano state tagliate le orecchie), il podestà di Capranica, Giuseppe Cherubini, che tanto si era adoperato per evitare la strage, si dimise irrevocabilmente dall’incarico. Vane furono anche le richieste di clemenza fatte alle SS dall’arciprete di Capranica, Don Luigi Micheli, al quale se in un primo tempo venne fintamente assicurato che i sardi sarebbero stati condotti in prigione a Bracciano per essere interrogati, venne successivamente intimato di desistere dalle sue richieste se non voleva essere egli stesso arrestato. Dal rastrellamento del 17 novembre, si salvarono almeno tre militari sardi: i fratelli Gesuino e Angelo Pulino e Augusto Petretto, i quali si stabilirono poi definitivamente a Capranica, maritandosi con ragazze del paese.

4. Le motivazioni della strage
Secondo la testimonianza di Rino Alessi, la rappresaglia tedesca e la fucilazione dei sardi fu ispirata da Padre Usai, il quale nei giorni precedenti il rastrellamento era stato visto più volte a Capranica, anche in compagnia del colonnello Fronteddu (i testimoni oculari riferiscono genericamente di un “comandante dei sardi”), con l’intento di convincere i disertori a tornare nei ranghi del battaglione. Padre Usai avrebbe tenuto numerosi comizi pubblici per riuscire nel suo scopo, ma in uno di questi sarebbe stato insultato e aggredito verbalmente dai suoi conterranei, e in particolare da uno di loro, che si mise a capo degli stessi. Anche se l’episodio dei tre giovani capranichesi, Alessi, Andreotti e Baldi, sarebbe a se stante rispetto a quello dei Sardi, probabilmente i due torturati nel castello di Bracciano, Andreotti e Baldi, o lo stesso Alessi, furono fatti incorrere in qualche contraddizione che aiutò i tedeschi nel decidere il rastrellamento di Capranica e la successiva rappresaglia, forse temendo attività sovversive dei militari sardi. A guerra finita, di Padre Luciano Usai sarebbe stato implacabile accusatore il militare sardo scampato all’eccidio, Rinaldo Zuddas, la cui testimonianza condusse il tribunale militare a decretare la pena di morte per il religioso saveriano, commutata in seguito a trent’anni di reclusione. Amnistiato, si trasferì in Amazzonia in missione, dove morì nel 1981.
La vera motivazione della sommaria fucilazione dei sardi fu probabilmente la diserzione degli stessi dall’esercito della Repubblica Sociale Italiana. Questa, formatasi il 23 settembre 1943, si dotò ben presto di organi politici e di proprie forze armate, alle quali aderiranno, tra il 1943 e il 1945, circa 5/600.000 militari. Come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, assunta da Mussolini dopo la sua liberazione dalla prigione del Gran Sasso, venne nominato il Generale sardo Francesco Maria Barracu, il quale sostenne apertamente l’iniziativa di Padre Usai e del Colonnello Fronteddu, recandosi egli stesso a Capranica per organizzare il Centro di raccolta dei sardi. L’errore commesso dai sardi rifugiatisi a Capranica, fu allora quello di aderire al Battaglione Volontari Sardi e quindi all’Esercito della R.S.I.. Per questo motivo, secondo il codice militare di guerra, furono passati per le armi in maniera sommaria e senza un giusto processo. Se così non fosse, come si spiega il diverso trattamento riservato dalle stesse SS ai militari sardi rifugiatisi nelle campagne di Blera? Essi vennero catturati nel rastrellamento del 29 ottobre che costò la vita a ben 14 cittadini blerani, ma vennero tutti (tranne uno, che invece fu passato per le armi durante quella che ufficialmente venne definita “operazione di guerra”) inviati in Germania nei campi di concentramento, come avvenne ai militari italiani sbandati catturati dalle SS che non aderirono alla RSI. Forse ingannati dalle promesse del religioso saveriano, che gli prospettava un facile ritorno nell’isola natia, i sardi di Capranica finirono dunque, nella speranza di scampare alla guerra, per compiere il fatale errore di aderire alla RSI. Errore che gli costò la vita.

5. Rinaldo Zuddas
Rinaldo Zuddas, altrimenti indicato in qualche documento col nome di Francesco o Ferdinando, arrivò a Capranica, insieme ad altri 15 conterranei, subito dopo l’8 settembre. Proveniva da una località del Mugello, non distanze da Firenze, dove frequentava con altri avieri sardi un corso di addestramento contro l'offensiva dei paracadutisti alleati. Vista l’impossibilità di imbarcarsi per la Sardegna da Civitavecchia, si rifugiò con altri militari nelle campagne di Capranica. Qui, insieme agli altri suoi ex commilitoni, venne ben presto contattato da Padre Luciano Usai, che gli proponeva il trasferimento a Roma, nella caserma “Lungara”. Resosi conto che lo scopo del religioso era quello di costituire un’unità combattente a fianco dei tedeschi, insieme con altri commilitoni fuggì da Roma per tornare nuovamente a Capranica, dove si rifugiò. Secondo la testimonianza di Rinaldo Zuddas, l’ispiratore della rappresaglia fu lo stesso Usai, che guidò le SS tedesche verso Capranica, dove il 17 novembre 1943 furono rastrellati 18 militari. Giunti alla radura presso Caporipa, sulla provinciale che da Sutri conduce a Bassano Romano, i militari vennero fatti scendere e disposti in fila indiana per essere fucilati. Uno di questi, Emilio Canu, tentò la fuga ma venne subito freddato da una raffica di mitra. Approfittando di questo momento, anche Rinaldo Zuddas tentò di scappare verso il vicino torrente, ma non appena saltato il corpo senza vita di Canu, venne raggiunto da una pallottola che gli spezzò un braccio, mentre un’altra gli perforò la coscia e un’altra ancora gli fece saltare dalla testa il cappello a bustina d’ordinanza. Vistosi perduto, Zuddas si lasciò cadere nel torrente che attraversa la valle, particolarmente gonfio d’acqua grazie alle abbondanti piogge di quei giorni, e si finse morto. Appena partiti gli autocarri tedeschi, Zuddas riuscì faticosamente a salire sulle sponde del torrente, dove giacevano ormai senza vita i corpi dei suoi 17 compagni e di Salvatore Alessi, e a dirigersi verso la vicina Sutri. Qui venne aiutato a raggiungere l’ospedale Sant’Anna di Ronciglione, nel quale venne curato e rimesso in forze. Tornato in Sardegna alla fine della guerra, al processo militare contro Padre Usai fu decisiva la sua testimonianza, grazie alla quale fu riconosciuta la colpevolezza del religioso. Dipendente dell’Aeronautica Militare, fu custode a Fenosu per cinquant’anni. Abitante a Silì, una piccola frazione di Oristano, si spense improvvisamente il 14 marzo 2001.
(Si ringrazia la Sig.ra Laura Cadoni, nipote di Rinaldo Zuddas, per aver gentilmente concesso le foto a www.encyclocapranica.it
La prima foto ritrae Rinaldo Zuddas al centro tra due commilitoni durante l'addestramento; la seconda lo ritrae con la moglie, dopo la guerra, sul luogo dell'eccidio) 

6. Documenti

La fucilazione dei sardi
[Archivio Comunale di Capranica, minuta dattiloscritta priva di data]

A seguito dello sbandamento dell’esercito circa 200 giovani sardi si concentrarono nel territorio di questo Comune, forse perché, trovandosi Capranica sulla linea ferroviaria Orte-Civitavecchia, sperarono di poter, al momento opportuno, far ritorno alla loro isola. Dopo alcuni giorni una parte di loro aderì al Battaglione Volontari Sardi, mentre i restanti a seguito di minacce di un capitano sardo cambiarono residenza. Contemporaneamente un certo Manetti Mario dopo aver ingannato Andreotti Virgilio, Alessi Salvatore, Baldi Antonio [Antemio], cominciò a indagare sui sardi e scoprì un focolaio armato antitedesco. I tre giovani furono consegnati alle SS di Bracciano e il 17-11 del 1943 le SS circondarono Capranica e dopo aver catturato mediante rastrellamento 18 giovani sardi li mitragliavano al bivio sulla via Cassia. Solo Fernanrdo Zuddas riuscì, benché gravemente ferito a salvarsi.

Il Sindaco

Elenco dei fucilati presso Sutri il 17 novembre 1943
[Archivio Comunale di Capranica, minuta dattiloscritta priva di data. Reca l’annotazione “Renitenti alla leva”. Vi è compreso Fernando Zuddas, che riuscì a salvarsi, e il capranichese Salvatore Alessi]

  1. Pilu
  2. Menino
  3. Mesitieri
  4. Cossica
  5. Muzas
  6. Contini
  7. Barcellona
  8. Mereu
  9. Pilas
  10. Meloni
  11. De Roma
  12. Pinna
  13. Cano
  14. Meloni
  15. Manca S.
  16. Riu
  17. Manca F.
  18. Alessi
  19. Zuddas
Una strage a Capranica. Relazione della tenenza dei carabinieri.
[Archivio di Stato di Viterbo]

Regia Questura di Vìterbo Div. Gabinetto
Viterbo, 16-4-1946 n. 01136 U.P.

Alla Procura del Regno e p.c. Alla Regia Prefettura

Per debito d'Ufficio, trasmetto a codesta Procura del Regno l'unita denuncia a firma di Andreotti Rosa fu Antonio e fu Porta Caterina nata a Capranica di Sutri il 19-3-1915, ivi residente, a carico di XXX, maresciallo di P.S. e del padre di questi YYY, i quali, durante il periodo della dominazione tedesca, avrebbero denunziato e fatto uccidere dalle SS Tedesche due giovani di Capranica.
I XXX YYY sarebbero inoltre implicati nell'uccisione di 18 militari sardi da parte di militari germanici.
Al riguardo il Comando della Tenenza CC.RR. di Ronciglione, investita per le indagini, con nota n. 10/7 del 10/3/c.a., riferisce quanto segue:
«Nel restituire l'unito esposto prodotto dalla nominata Andreotti Rosa fu Antonio e fu Porta Caterina, nata a Capranica di Sutri il 19-3-1915, ivi residente, domestica, nubile, contro XXX, maresciallo di P.S. e il padre di questi YYY, ivi residente, possidente, coniugato, per collaborazionismo con i nazi-fascisti, si riferisce che dalle indagini praticate in merito, è risultato quanto segue:
La mattina del 14 novembre 1943 il giovane Andreotti Virgilio fu An­tonio e fu Porta Caterina, nato a Capranica di Sutri il 26-3-1922, ivi domi­ciliato, bracciante, celibe, fratello dell'esponente, con mezzi di fortuna si recò nel comune di Monteromano per l'acquisto di un certo quantitativo di grano, occorrente alla sua famiglia. Verso le ore 14 dello stesso giorno, di ritorno da Monteromano con circa 30 chilogrammi di grano, si trovava sulla strada di Bracciano in attesa di qualche mezzo di fortuna, che potesse condurlo almeno nelle vicinanze di Capranica, per far ritorno in famiglia. Proprio in quel momento transitava su quella strada diretta a Viterbo, una camionetta tedesca alla quale fece cenno di fermarsi. L'automezzo aderì e l'Andreotti chiese di salire a bordo e di essere accompagnato fino al bivio di Capranica di Sutri. Venne fatto salire sull'automezzo che si rimise subito in moto alla volta di Viterbo.
Nella camionetta vi erano alcuni militari tedeschi delle SS tra i quali anche un italiano identificato poi per certo Mario Manetti, milanese inter­prete al servizio tedesco, il quale intavolò subito conversazione con l’Andreotti. Il Manetti fingendosi contrario ai tedeschi chiese al giovanotto se a Capra­nica vi fossero delle bande armate o perlomeno dei giovani armati che desi­deravano combattere contro i tedeschi. L'Andreotti, inesperto ed in buona fede, credette alle dichiarazioni dell'interprete e disse che uno era lui e che si poteva contare anche su due suoi compagni, certi Alessi Salvatore di Pietro e di Liberati Margherita, nato a Capranica il 20-6-1922, ivi residente, braccian­te celibe, e Baldi Antonio di Eumenio e di lezzi Maddalena, nato a Capra­nica il 29-9-1921, ivi residente, bracciante, celibe, dichiarando inoltre che tutti e tre, erano in possesso di numerose armi recuperare durante lo sban­damento dell'esercito italiano.
In seguito a tali notizie l'interprete Manetti, rassicurò 1'Andreotti che avrebbe collaborato con loro a danno dei tedeschi e che ne avrebbe subito parlato ai suoi compagni nella camionetta. Dopo un breve dialogo in lingua tedesca - avvenuto fra l'interprete e le altre SS nella camionetta - fecero capire al giovanotto che tutto andava bene. Giunto l'automezzo al bivio di Capranica, anziché proseguire per Viterbo si diresse verso l'abitato di Capra­nica, ove giunse verso le ore 16 dello stesso giorno 14 novembre.
L'interprete Manetti, fece ricercare dall'Andreotti i due suoi compagni Baldi Antonio e Alessi Salvatore e tutti e quattro insieme si recarono a pren­dere le armi che tenevano nascoste tra le quali vi erano anche due mitragliatrici pesanti. Recuperate le armi vennero caricate sulla camionetta unita­mente ai tre giovanotti che potevano già considerarsi arrestati.
Quando tutto era al posto, la camionetta rimessasi in moto, si diresse a tutta velocità verso Bracciano al comando tedesco di quel comune.
I tre giovanotti vennero subito imprigionati e sottoposti a torture allo scopo di farli parlare. Poiché il comando tedesco aveva la percezione che in Capranica, vi fossero delle bande armate. I suddetti giovanotti, capirono in quale tranello erano caduti e mentre due di essi nonostante le torture subite rimasero sempre muti, il terzo e precisamente 1'Alessi Salvatore, nella spe­ranza di potersi salvare, disse che a Capranica vi erano dei militari sardi sban­dati che possedevano armi e che aspettavano il momento opportuno per mar­ciare contro i tedeschi e che lui stesso li avrebbe accompagnati a Capranica.
In seguito a tali notizie, il comando della SS tedesca di Bracciano, allestì subito due autocarri con circa 50 SS che la mattina del 17 novembre successivo si portarono a Capranica, conducendo dietro il giovane Alessi che avrebbe dovuto fornire notizie circa la banda dei sardi esistente a Capranica, ma giunti in questo comune, l'Alessi si rifiutò di dare notizie e venne rinchiuso nella sede del fascio repubblicano e piantonato, mentre i militari della SS bloccati tutti gli accessi del paese eseguirono un rastrellamento di militari sardi nell'interno dell'abitato catturandone 18 che rinchiusero momentanea­mente nella sede del fascio, unitamente all'Alessi Salvatore. Il rastrellamento venne ultimato verso mezzogiorno del 17 novembre e verso le ore 15 dello stesso giorno, vennero caricati sugli autocarri e condotti in località Bivio di Bassano di Sutri, in un prato adiacente ad un bosco ed ivi mitragliati e lasciati massacrati sul terreno compreso il giovane Alessi Salvatore. Dei 18 sardi, solo uno cercò di salvarsi portandosi a stento sulla strada, dove venne raccolto e trasportato all'ospedale civile di Ronciglione per le cure del caso.
Mentre gli altri due giovani Capranichesi, Andreotti Virgilio e Baldi Antonio, vennero fucilati il giorno 21 novembre successivo nel comune di Bracciano, in località Vigna Grande.
Poiché il giorno del rastrellamento e mitragliamento dei militari sardi, trovavasi in Capranica il predetto XXX - maresciallo di P.S. - in servizio repubblicano, presso il Ministero dell'Interno al seguito del presidente Barracu e che a Capranica era ben visto dai tedeschi e che in quel giorno era stato visto circolare durante il rastrellamento mentre nessuna altra persona poteva circolare, verso le ore 13 del giorno 17 predetto, è stato visto l'interprete Manetti, uscire dallo stabile dove abitava YYY, padre del predetto XXX, sia la esponente, che i congiunti degli altri fucilati, addebitano a costoro la collaborazione col tedesco nel rastrellamento e nella fucilazione dei suddetti giovani e che per lo meno dovevano essere a conoscenza preventiva del triste avvenimento.
Ma sia dell'uno che dell'altro addebito, non esistono elementi fondati a loro carico e da tutti è ritenuto frutto di fantasia della esponente e degli altri familiari dei fucilati nella speranza di addossare a qualcuno la responsabilità dei tristi fatti. Mentre è parere concorde della quasi totalità della popolazione che l'accaduto è stato causato dalle indiscrezioni e dalla legge­rezza dell'Andreotti Virgilio nel rivelare il possesso delle armi e dell'Alessi Salvatore, nel riferire la presenza in Capranica di militari sardi sbandati; e per le ragioni su esposte, come pure per lo svolgimento dei fatti, si ritiene che nessuna responsabilità esiste a carico dei suddetti XXX e YYY; e mentre il primo seguì i tedeschi al nord ed ignorasi la fine tocca­tagli, il secondo risiede in quel comune elemento innocuo e lontano da ogni politica».

7. Note

[1] Documento emblematico della situazione che con dignità e autenticità supplisce all'incresciosa mancanza di un vero film storico sull'8 settembre, è il film Tutti a casa, (1960), di L. Comencini, soggetto di Age e Scarpelli, con A. Sordi e S. Reggiani (cfr. F. Di Giammatteo, Dizionario del cinema italiano, Roma 1995).

[2] Questo è quanto viene riferito da Sanna M., Luciano Usai. Cappellano dei Guastatori, San Gavino Monreale 1993

[3] Testimonianza registrata di Rino Alessi, raccolta nella primavera del 2004 da Fabio Ceccarini e Pietro Innamorati. Stralci in digitale della stessa saranno pubblicate su www.encyclocapranica.it.

8. Bibliografia
Morera G., Capranica. Un secolo di cronache (1860-1960), Viterbo 1982, pp. 192-195; Centro Maria Loreta, Capranica e la seconda guerra mondiale. Una ricerca collettiva sugli avvenimenti che coinvolsero il paese e i suoi abitanti tra il 1940 e il 1945, a cura di A. Sarnacchioli, Capranica-San Gimignano 1993, Doc. 2: “La fucilazione dei sardi”; Doc. 3: "Elenco dei fucilati presso Sutri il 17 novembre 1943"; Sanna M., Luciano Usai. Cappellano dei Guastatori, San Gavino Monreale 1993; Sanna M., Padre Usai. Un Crocifisso nelle sabbie del deserto, San Gavino Monreale 2008; Di Porto B., La Resistenza nel Viterbese, in Quaderni della Resistenza Laziale, pubblicazioni finanziate dalla Giunta Regionale del Lazio nel Trentennale della Liberazione, Roma 1977; Gugliotta G., Arrestati a Capranica. Trucidati a Sutri. [S.l. : s.n.], stampa 2005 (Quartu S. Elena : Press Color); Testimonianze registrate raccolte dall’Autore, di Rino Alessi, Agostino Cangioli, Vincenzo Barella, Girolamo Baldi, Matteo Zanganella; Racconto di Laura Cadoni, nipote di Rinaldo Zuddas.


09 settembre 2013

8 settembre 1943 - Capranica ricorda l'inizio dell'occupazione tedesca




E' un mio vecchio pezzo apparso nella primavera del 2004, su una ricerca e una serie di interviste da me condotte con gli anziani di Capranica. Lo ripropongo qui di seguito.

Roma, 8 settembre 1943, auditorium "O" dell'EIAR. Sono le ore 19,45 quando il Capo del Governo, Pietro Badoglio, diffonde via radio, la notizia dell'ar­mistizio con le forze angloamericane.
"Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di con­tinuare l'impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare nuovi e più gravi danni alla Nazione ha chiesto l'armistizio al Generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze ita­liane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventua­li attacchi da qualsiasi altra provenienza".
Appena qualche frazione di secondo e il comunicato arriva a Capranica trasmesso dal grande altoparlante della radio del caffè Mantrici, a "for di porta".
Il paese intero è per strada, impegnato nei festeggia­menti della "Madonna dell'8 settembre". E tra la gente, come sempre numerosissima, che segue la processione del Santo Patrono Terenziano verso il santuario della Madonna del Piano, la notizia si dif­fonde in un baleno, percorrendo velocissimamente il corteo da un capo all'altro.
La reazione è varia: c'è chi esulta; chi ringrazia Dio della notizia, chi teme un attacco aereo, e si nascon­de sotto gli olmi del viale, chi piange dalla gioia; o chi, ancora, ignorando il significato del termine "armisti­zio", non capisce nemmeno cosa stia succedendo. L'effetto, comunque, dev'essere stato davvero spetta­colare. Quasi da cineteca, con la banda che smette improvvisamente di suonare, la recita del rosario che viene interrotta, i paramenti processionali che vengo­no appoggiati agli alberi, e il Santo, addirittura, che viene abbandonato con la sua pesante macchina in mezzo al viale Nardini mentre tutti corrono e si agita­no.
Solo dopo qualche lunghissimo minuto la gente si rende conto davvero di cosa significa quella notizia: la guerra, quella guerra che tre anni prima era stata incominciata per spezzare le catene di un mare che tanti italiani non avevano mai visto o, peggio, "per dare finalmente un lungo periodo di pace con giusti­zia all'Italia, all'Europa, al mondo", è finalmente fini­ta. O, perlomeno, così avrebbe dovuto essere.
Perché, purtroppo, contrariamente a quanto si potes­se legittimamente pensare, la guerra non era finita. Anzi, il "peggio" doveva ancora venire.
Un "peggio" che avrebbe fatto davvero "vedere", e "toccare" la guerra a molti italiani. Ed anche ai capra­nichesi.
Un "peggio" fatto di 9 lunghissimi, fatali, terribili. Un "peggio" che - inevitabilmente? - avrebbe finito per portare la tragedia anche a Capranica, causando la morte di giovani ingenui, di placidi contadini, di dol­cissime mamme. Ventisei furono le vittime civili che la dura occupazione tedesca provocò alla nostra gente: otto capranichesi e diciassette giovani sardi. Gli uni e gli altri capranichesi, perché gli uni e gli altri italiani. Ventisei vite stroncate dall'assurdità della guerra. Uomini e donne a cui è stata negata ignobilmente e ingiustamente la legittima e sacrosanta possibilità di­ costruirsi un futuro: Lucia Oroni, Maria Torselli, Giuseppe Cocozza, Antonio Cocozza, Luigi Coletta, Virgilio Andreotti, Salvatore Alessi, Antemio Baldi e 17 giovani militari sardi. Ventisei morti.
E a distanza di 60 anni da quei tristissimi avvenimen­ti, c'è ancora viva la volontà, tra coloro che li hanno direttamente vissuti, di non dimenticare, di non "per­dere la memoria" e di raccontare, a beneficio dei più giovani, "ciò che significa la guerra".
Di descrivere ancora, cioè, quei lunghissimi 9 mesi ché il paese attraversò dall'armistizio fino all'8 giugno del '44, festa del Corpus Domini, giorno della libera­zione del nostro paese da parte delle truppe angloa­mericane.
Tanto ancora c'è da ricordare... da raccogliere... da dire... e non per scoprire vecchie ferite, o per "fare nomi" (cui prodest?) di gente che ha combattuto e col­laborato per una causa sbagliata, "dall'altra parte", ali­mentando polemiche inutili o disturbando il riposo e il ricordo di chi non c'è più.
Ma per ribadire, piuttosto, il senso e la necessità della memoria in quanto tale, fonte di inesauribile esperien­za dalla quale attingere, per non ripetere ancora, tra­gicamente e fatalmente, gli stessi errori del passato.
Per questo motivo, un gruppo di "giovanissimi" anzia­ni capranichesi, ha deciso di mettere a disposizione i propri ricordi e il proprio tempo, collaborando ad un progetto di ricerca su alcuni fatti accaduti in quei gri­gissimi mesi. E se si tratterà, di nuovo, di parlare tutto sommato degli stessi episodi - della settimana di ter­rore del novembre '43 soprattutto - si cercherà di farlo aggiungendo a ciò che in passato si è già detto, e scritto, alcuni aspetti particolari tutt'ora inesplorati, prima che se ne perda definitivamente il ricordo.
E si, perché le domande e i lati oscuri sono ancora molti.
Riguardo ai sardi sbandati, per esempio, quanti erano quelli nascosti a Capranica? Soltanto una sessantina? E perché si erano concentrati nel nostro paese? Chi li aveva portati qui? E qual è stato, in tutto questo, il ruolo ricoperto da Padre Luciano Usai, saveriano cap­pellano militare incaricato dal governo della R.S.I. diguadagnare a quella causa, nelle campagne di Capranica e sotto la guida del comando tedesco, tutti i sardi sbandati dopo 1'8 settembre? E chi ricorda il colonnello Bartolomeo Fronteddu, arrivato a Capranica per lo stesso motivo? E Francesco Maria Barracu? Potente sottosegretario alla presidenza del consiglio della R.S.I., che i verbali dei carabinieri affer­mano si sia fatto vedere a Capranica proprio in quei giorni? E perché i sardi di Capranica furono passati per le armi, mentre quelli catturati a Blara semplice­mente 'Condotti in prigionia? E perché furono fucilati improvvisamente e frettolosamente per strada? E, infine, l'ultimo e più inquietante interrogativo: da quale esercito avevano disertato? Da quello italiano o dal neocostituito battaglione sardo "Giovanni Maria Angioy" della R.S.I.?
E delle persone ebree ospitate e nascoste a Capranica? Che cosa si sa? Ai primi del '43, una rela­zione della Questura di Viterbo quantificava in circa 160, gli ebrei sfollati nei paesi del viterbese. Ma sol­tanto a Capranica ce n'erano forse una cinquantina: famiglie intere composte da numerose persone. Soltanto i Sonnino erano una ventina, e presto furo­no raggiunti da altri parenti a Capranica, dove hanno potuto scampare alla deportazione e alla morte. Quali sono le famiglie capranichesi che li hanno aiutati e nascosti?
E della famiglia Maccari? C'è chi li addita ancora come i salvatori di Capranica allorché, all'indomani della settimana di paura in cui vennero fucilati i mili­tari sardi, evitarono la distruzione del paese già decisa dal comando tedesco per rappresaglia contro l'ostilità della popolazione alle truppe d'occupazione. E dei tre sfortunati giovani amici che furono abilmente e dia­bolicamente incastrati per non aver fatto praticamen­te nulla, se non per l'aver detenuto una mitragliatrice Breda smontata dalla torretta di un autoblindo italiano abbandonato alla Via Romana dopo l'8 settembre? Tutto questo a vantaggio di chi? E perché? E che rela­zione ebbe questo fatto con il rastrellamento dei sardi? Sessant'anni sono trascorsi dai quei giorni e da quei fatti ormai lontani nel tempo. Eppure, grazie al ricor­do di chi li ha realmente vissuti, sono ancora così vici­ni a noi, e così presenti nella memoria collettiva del nostro paese. Un patrimonio di esperienze dal valore inestimabile che deve essere trasmesso, custodito, rammentato, rievocato, insegnato. Ancora oggi. A beneficio di tutti.
Anche e soprattutto, affinché quelle 26 vite stroncate dall'assurda follia dell'uomo, possano avere il futuro che è stato loro negato.

07 settembre 2013

Digiuno e preghiera con Papa Francesco: contro i distinguo di alcuni infallibili




Ho ritrovato un mio articolo apparso su "La Città", un periodico viterbese (allora era un quindicinale cartaceo, oggi è un quotidiano web), in occasione della giornata di digiuno e preghiera del 14 dicembre 2001 voluta da Giovanni Paolo II dopo l'inizio della guerra di Afghanistan e i tragici fatti dell'11 settembre.
Lo ripubblico qui sotto interamente. Mi pare che il succo sia ancora adattabile alla giornata di oggi indetta da Papa Francesco.
Tuttavia, oggi su Facebook ho potuto leggere i soliti distinguo di alcuni infallibili che si credono profeti ma che di profetico non hanno proprio nulla.
Come Don Paolo Farinella, prete, come orgogliosamente egli stesso si definisce, il quale l'altro ieri scrive sul suo wall:

DIGIUNO PER LA PACE!
NEL RISPETTO ASSOLUTO PER PAPA FRANCESCO,
DICO NO!
di Paolo Farinella, prete

Genova 05-09-2013 - Volevo anche io aderire all’invito di Francesco papa per un giorno di digiuno per la Pace in Siria, sabato 7 settembre 2013, mentre i G20 a San Pietroburgo, mangiano caviale e salmone e decidono la guerra o meglio la vendita di armi, sempre redditizia. Poi leggo che vi aderiscono: Mario Mauro, ministro italiano della guerra, sempre in quota CL, già Pdl ora montiano e favorevole alla grazia per Berlusconi; Formigoni Roberto, CL celestiale, non nuovo ai rapporti con i Dittatori e indagato anche lui e strenuo difensore di Berlusconi.
Potrei continuare nella litania dei colpevoli che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità. Invece …
A questo punto più che un digiuno per la pace mi pare un coffe break dalle larghe intese con delinquenti e guerrafondai e immorali in passerella da primo piano. No, il casino non fa per me! A tutti un abbraccio affettuoso.
Paolo Farinella, prete

Allora mi viene da pensare: chi sono io per giudicare se una persona può o non può aderire all'invito del Papa? Chi sono io per stabilire che i vari Formigoni, Mauro etc., solo perché fanno parte di alcune forze politiche o di movimenti ecclesiali che a me non piacciono o non approvo, non debbano partecipare al digiuno. Dunque, mi fa schifo digiunare solo perché ci sono costoro? Secondo questo ragionamento Cristo non avrebbe mai dovuto andare a pranzo e a cena con pubblicani e agenti delle tasse. O ricordo male? O interpreto male il Vangelo? Io fossi in Don Paolo Farinella mi farei un bell'esame di coscienza e mi domanderei moltissimo sul senso del mio essere prete. E' questa sicumera ideologica che rovina la Chiesa. Ed è questo volerla dividere per forza secondo categorie che non gli sono proprie (cristiani di destra vs. cristiani di sinistra quando dovrebbereo esserci cristiani e basta). Se diciamo che non aderiamo perché ci sono persone che non riteniamo degne non abbiamo capito nulla. Davvero. E quando questi ragionamenti provengono da un prete che tanto orgogliosamente ostenta il suo essere prete (Paolo Farinella, Prete, scrive), sinceramente vado in crisi... 

Perché digiuno il 14 dicembre

             Tanta gente ha già fatto sapere di aderire. Uomini e donne del mondo della politica, della scienza e della cultura, del volontariato e della comunicazione. Pacifisti e non, sostenitori del movimento anti-globalizzazione e non, credenti e laici, politicamente di destra, di sinistra, di centro. Il 14 dicembre aderiranno all’invito lanciato dal Papa di digiunare e pregare a favore della pace nel mondo, in coincidenza con l’ultimo giorno del Ramadan musulmano. E’ davvero profetico questo Papa. Oggi come ieri. Capace di chiedere perdono per gli errori commessi dalla Chiesa. Capace di convocare tutti i capi religiosi ad Assisi per il prossimo 24 gennaio. Capace, insomma, di gesti che fanno clamore e che interpellano direttamente le coscienze di tutti gli uomini. Di tutti davvero. Indistintamente. Anche di quelli che non hanno il dono della fede e che, come il grande Montanelli che spesso invidiava chi la aveva, chissà cosa avrebbero dato per averne almeno un pezzettino. “Segni dei tempi”, avrebbe commentato un suo illustre predecessore, un tale Angelo Giuseppe Roncalli. E viste le adesioni alla giornata di digiuno, che via via si vanno raccogliendo e che si ingrossano sempre più, chissà cosa avrebbe pensato Joseph Stalin a vederle. Forse avrebbe strabuzzato gli occhi. Incredulo. Lui che spesso si domandava quante fossero le divisioni di cui disponeva il Papa. “Segni dei tempi”, riconosciamo noi. E al di là dei distinguo personali che comunque ci sono ancora, poiché il gesto del digiuno non è un atto religioso specifico (lo conoscono bene, ad es., i radicali, che spesso scendono in sciopero della fame, e prima ancora i ghandiani), forse l’aspetto su cui molti degli aderenti non si ritroveranno, sarà quello della preghiera. Il Papa infatti non propone una giornata di digiuno qualsiasi. Non è una semplice giornata di sciopero della fame per protestare contro la guerra. E non è con questo segno di protesta che si spingeranno i grandi della terra a sedersi attorno ad un tavolo e a discutere. E’, al contrario, una giornata di digiuno e preghiera, perché solo con la preghiera si da senso al digiuno e lo si fa diventare esso stesso preghiera. Solo con la preghiera, per chi ci crede, si riescono a scardinare i cuori, anche i più duri. Solo con la preghiera, e io ci credo, si riuscirà a squarciare il velo del buio che stiamo vivendo per lasciare entrare i raggi della speranza. Solo con la preghiera riusciremo insieme a trasformare il volto di questo millennio, abbruttito già nella culla dagli avvenimenti dell’11 settembre, in un tempo di pace. Per questo vale la pena di digiunare. Per questo digiuno il 14 dicembre.